Scrivono per noi
Champagne
Straordinario, ma non per questo relegato alla mera straordinarietà. È lo Champagne contemporaneo che, da come lo voleva l'immaginario cantato anche da Peppino di Capri, è oggi anche un vino quotidiano (o quasi). Di certo è diventato un vino assoluto, nel senso di scisso, sciolto e, pertanto, credibile tanto a tutto pasto quanto lontano da esso; da esso avulso fino quasi a diventare, non di rado, invero, anche meditativo. Del resto, la sua genesi dimostra che ce ne sono e ce ne sono stati davvero di tutti i tipi. E che la sua origine affonda e attinge nel mito, quello di una "bugonia" contemporanea dove, tra il serio e il faceto, il mistero della vita si fa sublimazione dall'inorganico all'organico, dal liquido all'aereo, dal fermo al mosso. Così, se non tutta, molta di questa storia risiede nella miniera color avorio della craie, su cui la Champagne è assisa, e su cui prosperano e s'inerpicano le sue viti. Un calcare algido solo nel colore, albino, simile a un gesso intarsiato di fossili marini. Un sedimento che, a queste latitudini, funge da serbatoio termico, appunto, oltre che minerale.
Quanto al metodo, come spesso accade nel vino, questo è appannaggio della prassi, e non senza soffocate imprecazioni, immaginiamo, di monaci e di abbazie: iniziata già col vescovo Remy (da cui Reims) a cui il re franco Clodoveo portò in dote una botticella che, guarda caso, mai si scolmava fino a quando, secoli dopo, un olandese di nome Jean-Rémy Moët acquisterà il monastero dove, sotto l'egida di Dom Pierre Pérignon, avvenne la prima delle spumantizzazioni. Dunque nel segno di una privatizzazione - quella dell'abbazia di Hautvillers, concessa dai giacobini - si articolerà la storia della Champagne contemporanea che, infatti, accanto ad alcuni attori collettivi come le Maison o le Cooperative (Négociant-Manipulant) affianca individui più piccoli, spesso familiari, come sono i Récoltant-Manipulant e non senza articolarsi in livelli intermedi, come quello dei Récoltan-Coopérateur. Ebbene, sono proprio i Récoltant-Manipulant a scrivere la storia presente del territorio, di cui rappresentano non più il canto corale e monodico ma una pluralità: una polifonia eterofonica. Immaginateli dunque questi nuovi, piccoli produttori che, simili a liberti, dopo anni passati a conferire il frutto del loro lavoro sono oggi liberi interpreti di se stessi e della propria visione del mondo. E poco importa, dopotutto, se c'è concorrenza, se sono in tanti e se è difficile distinguersi nel mare magnum delle oltre 300 milioni di bottiglie prodotte. Anzi, meglio, perché ogni rivoluzione, cosa che sanno bene a queste latitudini, parte del singolo e dal singolo si propaga diventando, semplicemente, pluralità.